Lettera dalla nostra rivista «Recordatus» – gennaio 2016

 

venerdì 1 gennaio 2016

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

 

Carissimi “Oblati della Divina Misericordia”,

non è un caso che, per voler del Beato Paolo VI, quest’oggi, nel commemorare Maria Madre di Dio, il mondo è chiamato a rinnovare il suo impegno per la Pace. Quella che sant’Agostino definì “tranquillità dell’ordine” ha una sua storia legata alla storia stessa della Rivelazione. “Prima di essere un dono di Dio all’uomo e un progetto umano conforme al disegno divino, la pace è anzitutto un attributo essenziale di Dio: « Signore-Pace » (Gdc 6,24)”1.

La pace (“Shalom”) è infatti per il popolo ebraico e, ancora oggi per la Chiesa, non la semplice assenza di guerra ma la vera pienezza di vita (cfr. Ml 2,5) che è, di fatto, prerogativa di Dio. Tale pienezza comporta e significa il vero benessere dell’uomo che non è solo materiale ma anche spirituale, non è per la semplice autosufficienza ma per la solidale condivisione col forestiero, l’orfano e la vedova. Per Dio non si tratta perciò di fare un’elemosina ma di irradiare la Sua pace che è per tutti i popoli e non può prescindere dalla giustizia. Essa è insieme dono divino e impegno dell’uomo per corrispondervi e farlo fruttare. E’ una chiamata, una vocazione, una missione iscritta dal Creatore nella creatura che, sola, condivide la sua immagine e somiglianza. E’ risposta dell’uomo all’ordine stabilito da Dio che, purtroppo, è spesso violato col peccato che genera ogni sorta di guerra, violenza e divisione. In Dio, nel Suo essere uno e trino, la fonte della pace è presto trovata nella carità che unisce e distingue le Tre Persone, secondo una certa monarchia del Padre che tutto si dona al Figlio nello Spirito Santo, che è a sua volta il dono stesso del Figlio al Padre e, in Suo Nome, all’umanità. È questa la Pace, lo Spirito Santo, che Cristo stesso ci ha donato quando ha detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la dono a voi”2.

Ma come la dà il mondo questa pace? Come relativismo per il nostro intelletto, edonismo per le nostre volontà, materialismo per le nostre passioni. La pace che dà il mondo pretende di essere il soddisfacimento immediato e amorale di ogni egoistico desiderio, dove gli altri sono visti solo come strumenti per raggiungere tale scopo. Cosa c’è di più disumano e disumanizzante in questo? In questo triplice riduzionismo, relativistico, edonistico e materialistico è facile intuire quale sia la radice comune: la negazione di una vera trascendenza. Ma così l’uomo, volendo negare Dio, finisce per negare sé a sé stesso, si aliena e, con ciò, si condanna da solo all’Inferno, già qui sulla terra.

Tuttavia, le festività natalizie, che volgono ormai al loro termine, ci offrono sempre di nuovo la Luce di una Speranza che non delude, Cristo, nel quale convergono le promesse di pace della storia dell’uomo. In Lui scopriamo la Pace, in Lui vediamo la pace che è Dio e la pace che l’uomo cerca. Nella Croce di Cristo, la pace si manifesta come il frutto della riconciliazione dell’umanità con il Padre, che essa misticamente opera. Quella frattura che noi avevamo procurato con Dio, solo Dio stesso poteva risanarla e, perciò, ha mandato Suo Figlio.

Ma questa frattura con Dio si è presto rivelata rottura tragica della fraternità come vediamo nell’episodio di Caino e Abele. Ebbene, anche questa Gesù è venuta a sanare perché l’uomo, riscoprendo il Volto del Padre, ritrovasse l’altro come suo fratello. Tuttavia, sempre di nuovo l’uomo infrange il dono della pace, sotto l’ispirazione, prossima o remota, di colui che da sempre è il nemico della pace: il Diavolo. Questi trova nell’uomo un valido alleato nell’“amor proprio”, cioè nell’amore disordinato di sé che porta l’uomo a trasgredire la legge di Dio e a violare la pacifica convivenza. L’inizio della violazione della pace è perciò un ingiustizia e, allora, il modo per ristabilire tale pace deve essere il ristabilimento della giustizia. Ma come ristabilire questa giustizia nell’uomo e, quindi, nella società. La via è una sola, quella di sottoporsi al giudizio di un Tribunale che mai è di parte ed è anzi infallibile: il “Tribunale della Misericordia”. È così che Gesù si rivolgeva a santa Faustina per indicare il Sacramento della Confessione, non a caso definito dal Vat II in poi, Sacramento della Penitenza e Riconciliazione.

Perciò, sottoponiamoci tutti, e spesso, a questo Giudizio, che anticipa il Giudizio al quale saremo sottoposti al termine delle nostre vite! Diventeremo così operatori di pace, riconciliati che riconciliano.

Verrebbe però da chiedersi che senso abbia il ricorso ad un Sacramento quando urgenti si presentano invece, innanzitutto la difesa di diritti umani gravissimi impunemente violati e la promozione di una effettiva giustizia sociale all’insegna della solidarietà e sussidiarietà, seguendo uno sviluppo eco-sostenibile e sensibile ai problemi del Creato.

La risposta è semplice. Una risposta razionale che sia data alla luce della fede, e perciò teologica, non può che andare alla radice delle questioni, che si trova appunto nel peccato dell’uomo che, se non è confessato, assolto e riparato, manterrà con sé in vita delle vere e proprie “strutture di peccato”, condizioni e istituzioni sociali che ne sono il degenere maturo frutto.

Questo non significa, ci teniamo a precisarlo, che l’uomo debba passivamente lasciarsi uccidere da chi mai volesse, più o meno pretestuosamente, farci pagare la nostra presunta indifferenza o violenza o egoismo.

A scanso di ogni equivoco, concludo citando che: le “esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace”3.

Questo contro pacifismi ingenui che in realtà, anziché tutelare, ledono, gravemente la pace.

Ma quello che più ci preme, sottolineare, a mò di augurio e conclusione insieme, è che il mondo possa riscoprire, in questo 2016 che è l’Anno della Misericordia, l’autentico valore della fraternità che deriva dall’essere tutti figli di Dio, tutti per chiamata anche se non tutti per elezione, membri di quell’unica famiglia di Dio che attraversa le generazioni e i confini delle nazioni, trovando in Maria la Madre e Signora di tutti i popoli, proprio in quanto Madre dell’Uomo Nuovo, Madre di Dio.

Alla sua materna intercessione affidiamo le nostre speranze di pace perché, nella conversione dei cuori si possa giungere ad una giustizia duratura accompagnata da un “disarmo generale, equilibrato e accompagnato”4 perché la pace, che è dono di Dio, possa essere, sempre per Sua grazia, custodita.

Nell’Ottava del Natale, ancora vi auguriamo una

Felice Natività del Signore!

Vostri,

Fratelli di Gesù Misericordioso”

1 Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 448.

2 Gv 14,27.

3 Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 502.

4 Giovanni Paolo II, Messaggio per il 40o anniversario dell’ONU (14 ottobre 1985), 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 (1985) 988.

Lettera dalla nostra rivista «Recordatus»

2 novembre 2015

Carissimi “Oblati della Divina Misericordia”,
manca poco più di un mese all’inizio del Giubileo della Misericordia che ci vedrà tutti impegnati ad una vera riforma della nostra vita per essere annunciatori della Sua Misericordia.
Avendo appena celebrato la Solennità di “Tutti i Santi”, e commemorando oggi i fedeli defunti ci é sembrato allora essere di una qualche utilità spirituale richiamare brevemente cosa intendiamo per santità e che cosa abbia a che fare questa sconosciuta con noi, con la nostra vita e – perchè no? – con la nostra morte.
Cominciamo col dire che un errore molto diffuso è quello di confondere la santità con un’apparente perfezione morale, addirittura con l’impeccabilità, con uno stare lontani da un mondo corrotto che si aggirerebbe fuori di noi, sempre minacciando l’integrità nostra e dei nostri bambini.
Ebbene questa visione è francamente erronea perchè insufficiente!
Infatti, se confondiamo la santità con la perfezione morale, cioè una vita vissuta secondo le virtù umane, la riduciamo all’onestà morale. Ma, il punto è questo, l’onestà morale di per sè non conosce la MISERICORDIA. Se io taglio i rapporti con chi mi ha offeso gravemente non sono certo moralmente disonesto ma, cosa ben più grave, offendo la Carità che è Dio stesso. “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”(Rm 5,8).
Chiaro? La venuta di Cristo non è che abbia cambiato le leggi della moralità umana ma anzi le ha confermate in modo inaspettato:” Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. (Mt 5, 17-19).
Gesù ha mostrato che una morale che non integra il perdono, la misericordia come legge suprema è una morale ingiusta perchè non tiene conto della verità dell’uomo, di ogni uomo.
La fragilità della condizione umana può essere sì superata con la grazia di Dio ma questo non ci rende però impeccabili. Siamo piuttosto in lotta continua contro le nostre cattive abitudini, il mondo, satana. Ma ciò non ci garantisce di per sè la vittoria. L’uomo non può ottenere la santità con le sue sole forze: può e deve però preparare, accompagnare, e custodire il dono della santità che Dio instancabilmente gli offre con una ragionevole ascesi. Ma guai a confondere l’ascesi con la mistica. Quando parliamo di santità siamo prima di tutto nell’ordine della mistica, cioè dell’unione intima con sè che Dio offre ad ogni uomo in ogni circostanza, che è appunto la santità. Questa santità, che è il Dono dei Doni di Dio, lo Spirito Santo in noi, abbiamo però noi la responsabilità di custodirlo. Ecco allora l’importanza dell’ascesi, cioè dell’”allenamento” per mantenere la nostra “forma spirituale”, della lotta per custodire quella purezza, più che angelica, divina, che Dio costantemente ci elargisce.
Chiarita cosa è la santità e cosa non è, andiamo a considerare adesso cosa intendiamo per “perfezione” noi cristiani a differenza di altre religioni o filosofie o ahimè ideologie (per il relativismo dilagante la perfezione consiste semplicemente nel fare ciò in cui si crede e lasciar fare agli altri). “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. (Mt 5, 20).
La giustizia degli scribi e dei farisei non era semplicemente formalista, al punto di sacrificare le persone concrete e i doveri di carità a precetti comunque sempre secondari rispetto alla Carità.
La loro giustizia era addirittura ingiusta, non meritava neppure il nome di giustizia perchè era in realtà la mera osservanza di regole per sentirsi a posto a basso prezzo con una coscienza deformata dall’ipocrisia e dall’egoismo egocentrico di chi pensa di voler essere perfetto ma in realtà finisce per essere subdolamente inumano.
Le parole di Gesù interpellano anche noi!
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,43-45)

“Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli’”
scrive Mt 5, 48. Ma, attenzione, Lc 6,36 aggiunge:
“Siate dunque misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”

Lc, l’evangelista della misericordia di Dio identifica la perfezione di Dio con la misericordia. E così anche la perfezione dell’uomo, che è immagine di Dio.
Come dire: Dio è Dio perchè è misericordioso e non perchè è onnipotente, onnisciente, onnipresente. Se avesse solo queste ultime caratteristiche infatti non sarebbe Dio, cioè l’amabile Amore stesso ma un Dio dei filosofi, un Essere supremo e basta.
Capiamo allora che la morale cristiana, che è morale del perdono è una morale paradossale perchè conduce a mete che l’uomo con i suoi soli mezzi non può raggiungere. Quando noi infatti perdoniamo di cuore qualcuno, propriamente è Dio che perdona in noi. Perchè noi uomini non possiamo perdonare radicalmente: le offese ci feriscono e per essere guariti abbiamo bisogno della giustizia. Ma molto spesso gli uomini non vogliono e/o non possono rimediare alle ingiustizie causate. Occorre allora una giustizia dall’Alto, che dia nuova linfa alle nostre relazioni. Una rigenerazione dell’alta che non esclude certo la giustizia anche umana.
E’ ancora oggi vero, anche con Cristo, che chi sbaglia paga! Ma non dobbiamo dimenticare che il vero ed unico Giudice è solo Lui. Lui stesso ci ha dato una Legge alla quale Lui stesso per primo si è sottoposto per noi: l’Amore fino alla morte di Croce. Se mai qualcuno dovesse mancare a questa Legge non lo farebbe impunemente agli occhi di Dio. Ma l’eventuale anche grave mancanza di qualcuno non potrà mai giustificare una nostra mancanza nell’Amore. Perchè Amore con Amor si paga.
Ad esempio è facile comprendere per noi che l’evasione fiscale è un male e un’ ingiustizia e saremmo tentati di farlo tutti nella paura di “perderci”, visto che altri senz’altro lo fanno.
Ma, fuor di metafora, il Signore ci mette in guardia:
“Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25)
È evidente allora che la santità non è l’impeccabilità ma piuttosto l’impeccabilità è la manifestazione, come la conseguenza della santità che è dono di Dio. Ma peccato, lo abbiamo detto, significa non solo “fare il male” ma anche “non fare il bene”. Mancare nella misericordia è un peccato a pieno titolo e può arrivare ad essere anche grave se l’incolumità non solo fisica ma anche spirituale di una persona dipende dal perdono da noi accordato.
Certamente, il perdono presuppone il pentimento. Ma nel senso che la mancanza di pentimento ne ostacola l’efficacia. Noi dobbiamo sempre essere disposti a perdonare e non possiamo porre condizioni. Dio non lo ha fatto con noi, non lo fa e non lo farà. Così, neppure noi. E’ il perdono gratuito di Dio che ci dà l’occasione di pentirci dei nostri peccati. La grazia di Dio sempre ci previene ma poi la sua efficacia, questa sì, dipende strettamente dal nostro reale pentimento.
“Dio, che ti ha creato senza di te non può salvarti senza di te” scriveva sant’Agostino.
E’ durissimo per le nostre orecchie e ancor più per i nostri cuori ma non abbiamo il diritto di cambiare la Parola di Dio che ci è stata affidata: il perdono per essere cristiano deve essere gratuito e incondizionato, cioè disponibile prontamente.
Ma il perdono è anche un tesoro che Dio, infinitamente santo, concede solo a coloro che col pentimento ne diventano meritevoli e ammonisce anche noi(Mt 7,6):
“Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi”
Anche il santo perdono di Dio non può essere profanato. Chi crede di far del bene all’uomo facendolo, in realtà ha profanato la realtà sacra dell’umanità stessa, riuscendo addirittura inumano.
San Giovanni Paolo II scrive, nella sua “Dives in misericordia”:”È ovvio che una cosi generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia propriamente intesa costituisce per cosi dire lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono”.
E’ ormai chiaro, allora, che santità è il nome, tutto cristiano, della felicità, del piacere, della gioia. Insomma, di una vita realizzata!
Papa Francesco l’ha ribadito proprio Domenica scorsa:
”La via della santità è la stessa via della felicità: è la via percorsa da Gesù, chi cammina con Lui entra nella vita eterna(…)È un cammino difficile da comprendere perché va controcorrente, ma il Signore ci dice che chi che va per questa strada è felice, prima o poi diventa felice”.
Ecco allora il senso della odierna commemorazione! Non é la memoria di chi non c’è più ma di chi è invece ormai a un passo da quella gioia la cui ricerca incessante ci rende anche insonni.
Ricordiamo allora i nostri defunti non con tristezza o nostalgia ma con una santa ammirazione, quella di chi sa che la vita che viviamo è un cammino verso l’eternità beata e la morte è solo l’ultimo decisivo tratto.
La vita stessa è la porta dell’eternità. Non aspettiamo perciò il momento della nostra morte come una incombenza pesante ma accogliamola e desideriamola ogni giorno, come liberazione da ogni sofferenza. Ma soprattutto dalla sofferenza di non potere amare come vorremmo!
Vostri,
“Fratelli di Gesù Misericordioso”